Sentenza 4166/2018 nella quale il C.d.S. stabilisce che il titolo abilitativo richiesto per un soppalco interno dipende dal suo uso ad abitabile o a ripostiglio.
A seguito di un sopralluogo di verifica effettuato da tecnici di un Comune è emersa la realizzazione di opere edilizie in difformità dai titoli edilizi abilitativi concessi ad una società edilizia.
la Società ha allora presentato una istanza di concessione in sanatoria per la realizzazione di un soppalco e un cambio di destinazione d’uso con opere edili
Il Comune, vista la richiesta, ha respinto l’istanza in sanatoria in quanto dalla lettura del provvedimento ha evidenziato che l’intervento prevede la sanatoria per la realizzazione di un soppalco, non ammessa negli elaborati approvati in quanto si configura come un aumento di superficie utile quindi di una ristrutturazione edilizia non ammissibile per il caso in esame , e inoltre un cambio di destinazione d’uso da residenza ad ufficio nell’unita immobiliare sita al primo Piano, che risultava in contrasto con l’art., 16 della Variante in essere, il quale recita: “Sono ammesse nuove destinazioni d’uso non abitative esclusivamente ai piani terreno”.
La Società ha impugnato detto provvedimento davanti al TAR dl Veneto, che, con sentenza n. 1363 del 2012, ha rigettato il ricorso.
La società si è allora appellata al Consiglio di Stato evidenziando che il soppalco di limitate dimensioni non era utilizzabile come luogo di soggiorno, non avendone le caratteristiche necessarie, e l’intervento non sarebbe stato quindi riconducibile al concetto di ristrutturazione edilizia.
Il CdS non ha disconosciuto l’orientamento che tende a ricondurre la realizzazione di un soppalco nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali non sarebbe richiesto il permesso di costruire, qualora, però, l’opera sia tale da non incrementare la superficie utile dell’immobile.
In generale, ha ritenuto che la realizzazione di un soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, e rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell’unità con conseguente aggravio del carico urbanistico
L’ipotesi contraria si verifica solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone, mentre nel caso in esame, dalle rappresentazioni fotografiche prodotte è emerso che il soppalco in questione, seppur di modeste dimensioni, integra comunque un aumento di superficie fruibile, permettendo così la possibilità di accedervi in sicurezza per lo svolgimento del normale esercizio di calpestio e di posizionamento di carichi mobili.
Più precisamente, lo spazio che con lo stesso si ricava: a) risulta avere una altezza media tale da consentire ad una persona di accedervi comodamente; b) è protetto dal vuoto sottostante, così che può essere fruito in tutta sicurezza; c) gode di una illuminazione adeguata, essendo completamente aperto su un lato ed usufruendo della luce del locale sul quale si affaccia; d) è raggiungibile tramite una scala fissa munita di corrimano.
Per questo motivo, l’intervento doveva essere classificato come ristrutturazione edilizia.
Per tale motivo il Consiglio di Stato Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), ha rigettato il ricorso della società appellante condannandola alle relative spese di lite in favore dell’Amministrazione Comunale
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